Griselda, Venezia, Niccolini, 1701

 GRISELDA
 
    Drama per musica da rappresentarsi nel teatro di San Casciano l’anno MDCCI, consacrata all’illustrissimo signore, il signor Antonio Ballarini, ministro dell’altezza serenissima di Modana.
    In Venezia, MDCCI, per li Niccolini, con licenza de’ superiori e privilegio.
 
 Illustrissimo signore,
    sono di tal natura le obbligazioni, che professo all’altezza serenissima del signor duca di Modana, che non è ambizione ma gratitudine, non competenza ma debito il desiderio che ho di darne al mondo un qualche pubblico contrassegno; e siccome né la sua grandezza esige da me ch’io le renda quegli alti favori, che mi ha conferiti, né la mia debolezza è così temeraria che aspirar possa a codesta retribuzione, egli è nondimeno assai giusto ch’io rompa un silenzio che parer può sconoscenza e può farmi credere piuttosto ingrato che riverente. Ma perché i principi, agguisa di certi eccellenti artefici, si compiaciono d’esser piuttosto onorati nelle lor opere che in loro stessi, io stimo di far cosa più grata all’altezza sua serenissima, col dedicare a vostra signoria illustrissima questo mio dramatico componimento che se gli facessi portare in fronte il riverito suo nome. Una così matura risoluzione mi fa ottenere il mio fine con più modestia e, senzaché cambi l’oggetto, mi fa più onore con la elezione del mezzo. Imperocché, passando questo mio drama dalle mani di vostra signoria illustrissima a quelle del sovrano suo principe, perderà molto della sua naturale rozzezza e potrà essere ricevuto con quell’occhio di aggradimento e di stima, con cui egli è solito a rimirarla in tutte le operazioni del suo onorevole impiego. Ma se io lo dedico a lei, come a degno pubblico ministro di un principe, a cui devo tutto il rispetto e tutta la gratitudine, l’offerisco a lei parimente come a persona in particolare da me riverita ed amata, alla quale, se per più riguardi io non mi confessassi tenuto, mi parrebbe di esser notato fra quelli che per altro non taciono i benefizi che per l’impotenza in cui sono di renderli; né per altro si ascondono al loro benefattore che per la vergogna che pruovano in non potergliene dare la ricompensa. Tali motivi sono bastevoli a giustificar la mia scielta; ed io mi troverò interamente contento di aver incontrata l’occasione di dichiararmi di vostra signoria illustrissima affezionatissimo servidore ed amico.
 
    Apostolo Zeno
 
 A CHI LEGGE
 
    Non molto diversamente dal mio racconto, narrano i fatti di Griselda primieramente il Boccaccio, nell’ultima novella del suo Decamerone, il Petrarca, ne’ suoi opuscoli latini, e Iacopo Filippo Foresti da Bergomo nel suo Supplimento alle cronache. Paolo Mazzi ed Ascanio Massimo ne formarono con tal nome due tragicommedie, la prima stampata in Finale nel 1620 e l’altra in Bologna nel 1630, siccome Lione Allacci nella sua Dramaturgia riferisce. Questo istesso suggetto fu trattato ancora felicemente dal signor Carlo Maria Maggi, dopo la di cui morte la pubblicò nell’anno 1700, con l’altre sue opere in cinque tomi raccolte, il mio eruditissimo signor Lodovico Antonio Muratori, degnissimo bibliotecario di sua altezza serenissima di Modana e per tutti i riguardi da me sempre riverito e stimato.
    Per altra strada assai diversa da questi, io mi son portato allo sviluppo della mia favola, da me tessuta per mio solo diporto, non perché lode ne attenda o per gareggiare con chi che sia nella maggioranza del merito. In essa ho proccurato di conformare all’argomento lo stile, maneggiando passioni tenere e serbando ne’ miei attori caratteri di mezzana virtù, senza frammischiarvi alcuno di quegli avvenimenti strepitosi ed eroici che si ricercano nelle storie più illustri e ne’ più grandi teatri.
    Molte cose per entro vi troverete che non sono di mia invenzione ma della storia. È storia quell’andar di Costanza nella capanna di Griselda, a bella posta condottavi, sotto pretesto di caccia, dal re. È storia quel movimento del sangue e quel dibattimento del cuore che provarono la madre e la figlia, nel vedersi la prima volta senza conoscersi. È storia la preghiera fatta da Costanza a Gualtiero, per ottenerne Griselda in sua serva. È storia finalmente la gran fermezza da questa dimostrata al marito ne’ molti dispregi ch’egli le usò, finoché, intenerito dalle affettuose espressioni che gli fece del proprio amore, l’abbracciò lagrimando e le palesò qual fosse Costanza e l’oggetto della sua finta fierezza. Egli è insomma così copioso l’argomento, che dalla storia mi viene somministrato, che posso dire non aver io in alcun de’ miei drami posto meno di mia invenzione, cosicché ne meriti appena per questa favola il titolo di poeta, se pur è vero che tale sia egli costituito dall’invenzione più che dal verso.
 
 ARGOMENTO
 
    Gualtiero (da me intitolato nel drama re di Sicilia per maggior nobiltà della scena, tuttoché nella storia altro egli non fosse che marchese di Saluzzo) invaghitosi d’una semplice contadina per nome Griselda, da lui veduta più volte nell’occasione della caccia, la prese in moglie, non potendo altrimenti espugnar la virtù di Griselda né soddisfare al suo amore. Un sì disugual matrimonio diede a’ popoli occasione di mormorarne e, dopo la nascita d’una fanciulla, primo frutto di queste nozze, sarebbero passati a qualche sollevazione, se il re non l’avesse ripressa, faccendo credere di aver fatta morire la figlia, da me chiamata Costanza, e di nascosto inviandola ad un principe suo amico che nel mio drama è Corrado, principe di Puglia, perché la educasse segretamente. Era già arrivata all’età di quindici anni Costanza, senzaché ella o altri, fuor di Gualtiero e Corrado, sapesse la vera condizione della sua nascita che tuttavolta Corrado pubblicamente diceva non esser men che reale. Aveva questi un fratel minore, per nome Roberto, che, allevato assieme con la principessa, l’aveva principiata ad amare, tostoché fu capace il suo cuore d’una passione sì delicata; e non solo codesto suo amore da Costanza fu corrisposto ma da Corrado ancora approvato.
    In questo mentre nacque un altro fanciullo a Griselda; e tornando allora i popoli ad una nuova sollevazione, istigati da Otone, nobilissimo cavaliere del regno ch’era amante della regina, Gualtiero volle por fine a tali disordini, con la finzione di ripudiare Griselda e di ritrovarsi altra sposa. Usò egli questo artifizio perché, conoscendo pienamente la virtù della moglie, voleva ch’ella ne dasse pubblica pruova e che quindi i sudditi conoscessero quanto ella meritasse quel grado che più era nobilitato per lei, dalla grandezza dell’animo, che oscurato dalla viltà della nascita. Tanto fece; scrisse a Corrado che gli conducesse Costanza in qualità di sua moglie; intimò a Griselda il ripudio; la rimandò alle sue selve; ed ella sofferse il tutto con una fortezza più che donnesca. I finti rigori di Gualtiero e le vere persecuzioni di Otone, che in tali disgrazie di Griselda si va adulando di poterla ottenere per moglie, fanno tutto l’intreccio della mia favola, con quegli avvenimenti che per entro vi si ravvisano.
 
 PERSONE CHE PARLANO
 
 GUALTIERO re di Sicilia
 GRISELDA sua moglie
 COSTANZA principessa, amante di Roberto
 CORRADO principe di Puglia
 ROBERTO suo fratel minore, amante di Costanza
 OTONE cavalier siciliano, amante di Griselda
 ELPINO servo faceto di corte
 
    La scena è intorno a Palermo.
 
 BALLI
 
    Di contadini e contadine siciiane innanzi alla V scena del II atto; di cacciatori alla fine della scena IV del III atto.
 
 MUTAZIONI
 
    Atto I: gabinetto reale; porto di città; cortile.
    Atto II: stanze; campagna con fiume e collina con capanna; capanna con letto.
    Atto III: loggia con trono; giardino; luogo magnifico illuminato per nozze.